A BETSAIDA… per “FARE MEGLIO”
Ma perché BETSAIDA?
Si tratta di una città duramente redarguita da Gesù (Mt 11,21; Lc 10,13), ma è anche il luogo d'origine di Filippo, Andrea e Simon Pietro (Gv 1,44): erano in tre anche loro, discepoli, con peculiarità diverse…
Ma soprattutto: Betsaida è un luogo di manifestazione straordinaria della cura di Gesù. L'eccezionalità non sta nei gesti da lui compiuti, ma nelle circostanze in cui opera. Nel racconto di Marco, Gesù vi arriva dopo la moltiplicazione dei pani, che si conclude con una domanda amara: «Non comprendete ancora?» (Mc 8,21). Eppure, appena giunto a Betsaida «gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo» (v. 22). E lì Gesù lo prende per mano e lo guarisce gradatamente (ossia, gli fa compiere un percorso di guarigione). Nel racconto di Luca, invece, Betsaida è il luogo in cui Gesù si ritira con i suoi discepoli per riposare con loro (9,10). Ma lì sopraggiungono le folle, e allora Gesù «li accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure» (v. 11).
È il luogo della cura, dove Gesù mostra che si può fare meglio per chi ha bisogno... luogo per chi sa lasciarsi sorprendere, accogliendo, insegnando e guarendo (nella versione più evangelica: facendo meglio le cose).
Ciò serve ad unificare la vita, rendersi “uno” perché educato, perché capace di vivere la dimensione della cura e, a propria volta, cercare di migliorare chi ci sta accanto… partendo da noi stessi, i primi che possono “cambiare” e poi aiutare gli altri nella loro scelta se cambiare o meno!
«In questo senso, la missione ad gentes non finirà mai finché i popoli non saranno sulla via della conoscenza di Cristo e in attesa della salvezza che viene da Lui. Le forme sono molte. Con ogni probabilità, oggi, in certe zone è possibile essere solo presenti, dare testimonianza, non annunciare il Vangelo a parole, ma viverlo. Ma questo era già previsto. Nella sua regola, ad esempio, Francesco diceva che i frati, quando andavano tra i saraceni – che era l’islam di allora – non dovevano pensare di dirsi cristiani, ma semplicemente testimoniare la fede facendo il bene, con l’amore.» (E. Bianchi)